mercoledì 21 gennaio 2009

Il MoNdO aD AuScHwItZ tra lacrime e rabbia

Cade la neve sulla fabbrica della morte, un vento gelido spazza le tetre baracche in mattoni rossi, i locali delle "docce" dove il gas Zyklon-B sterminò un popolo, i forni crematori. Sono le 14.30 in punto: un fischio di locomotiva, che allora annunciava l' arrivo d' ogni treno-bestiame carico di condannati, dà l' avvio alla grande cerimonia. Auschwitz sessant' anni dopo: curvi e malfermi, sono venuti duemila degli ultimi sopravvissuti. Al loro fianco i vecchi soldati dell' Armata rossa che li liberarono, e molti leader del mondo civile. Eccoli tutti qui sotto neve e vento che frustano come allora, per l' ultimo appello dei superstiti alla Memoria del mondo. «Quando arrivai qui nel settembre 1940 divenni un numero: prigioniero 4427, come dice il marchio sul mio avambraccio. Ora sono sopraffatto dall' emozione», esordisce Wladyslaw Bartoszewski, ex ministro degli Esteri polacco. Seduti alle sue spalle, Berlusconi e il presidente polacco Kwasniewski, Putin e l' israeliano Moshe Katzav, lo guardano silenziosi. Abbassa gli occhi il capo dello Stato tedesco Horst Koehler. Alle loro spalle, dieci colonne d' acciaio e in mezzo a loro un arco metallico - la porta della vita per ebrei e cristiani - sorreggono bracieri da cui salgono fiamme, fumo e cenere. Come allora, quando finì cremato qui un milione e mezzo di ebrei. Uno dei sopravvissuti, David Mermelstein, mi confessa: «Tremo camminando: nel più grande cimitero del mondo non ci sono tombe. Calpesto il suolo d' Europa ancora caldo del sangue e delle ceneri dei nostri cari». Niente inni, niente musiche: solo il presentat-arm del picchetto d' onore polacco tra un discorso e l' altro scandisce la cerimonia. Viene alla tribuna Simone Veil, l' ex presidente del Parlamento europeo che il neonazista Jean-Marie Le Pen derise come «madre-meraviglia risparmiata dai tedeschi». Ha il cuore gonfio d' emozione. «Guardate la rampa a fianco dei binari: qui scendevamo tutti presi a calci dalle Ss, qui il dottor Mengele selezionava le sue cavie. Cosa sarebbe divenuto ognuno degli ebrei assassinati? Filosofo, artista, scienziato, operaio, madre di famiglia? Pensandolo li piango ogni giorno, e il dolore mi dà la forza di combattere il nuovo antisemitismo». Il vento soffia in faccia a tutti il fumo delle fiamme del Ricordo. Il picchetto polacco scatta sull' attenti, parla il cardinale Jean-Marie Lustiger. Ebreo convertito, da ragazzo vide la mamma assassinata qui dalle Ss. Legge il messaggio del Papa con il pianto in gola, il berretto porpora trema con lui. «Mi piego al Mysterium iniquitatis», dice. Con la sua voce Giovanni Paolo II implora di non dimenticare la Shoah. Si appella «specie a chi in nome della religione sceglie la violenza e il terrorismo». Poi tende la mano al Cremlino: «La Storia dell' Urss fu complessa, ma non dimentichiamo che i russi pagarono il tributo di vittime più alto». In piedi, i vecchi soldati del maresciallo Koniev, carichi di decorazioni comuniste, hanno gli occhi umidi alle parole del Papa che sconfisse il loro Impero. L' emozione spinge i sopravvissuti al racconto. «Fui deportato qui come sacerdote partigiano», narra il 92enne Witold Kiezrowski. «Rivedo il blocco B2, l' anticamera delle docce della morte. Un giorno vi erano rimaste solo donne con bimbi e neonati. I nazisti offrirono loro condizioni più umane, se avessero lasciato i figli in "buona custodia". Rifiutarono tutte. Poche ore dopo uscì fumo dai camini, il silenzio gridò dolore». Tocca poi a Kwasniewski, sobrie parole da ospite. E a Putin: riabilita l' Unione sovietica, ricorda «i 27 milioni di morti per la Grande Vittoria». Invita tutti «alla grande celebrazione a Mosca in maggio». è freddo, non comunica emozioni. A parlare ai cuori viene il presidente israeliano Moshe Katzav. Ricorda «la perfetta industria della morte, opera d' un popolo di scienziati e musicisti», il popolo tedesco. E come il popolo ebraico «risorse dalle ceneri, fondò la fiera democrazia chiamata Israele». Un cantore intona il Kaddish, il canto dei morti, e molti superstiti si abbracciano per riscaldarsi e farsi coraggio. Lustiger legge una preghiera ecumenica. «Vieni, salvami o Signore, ti temo e spero in te, ho bisogno di te come la notte ha bisogno del giorno». Giovani e ragazze in uniforme di Tsahal, l' esercito d' Israele, chinano il capo. L' ultimo appuntamento della Memoria volge al termine. Il paesaggio senza orizzonte da bianco-grigio diventa blu con la sera. Dieci riflettori puntano al cielo, e nel buio le ombre di reticolati e baracche si stagliano cupe.

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