mercoledì 18 marzo 2009

ARIOSTOOOOOOOOO

COME VA, RAGA, CON TUTTI I PERSONAGGI DELL'ORLANDO FURIOSO?
NON DITEMI CHE STATE PERDENDO IL SENNO!!!
PERO' DITE LA VERITA'....VI PIACE IL PETTEGOLEZZO LETTERARIO!!
A.T.

ADESSO PROVATE A CAPIRE DA SOLI QUESTO BREVE ARTICOLO DI CRITICA LETTERARIA. SE NE SARETE CAPACI....10 E LODE SUL REGISTRO PIU' BACINI DA ME, DALLA PROFESSORESSA PETTINATO E DALLA MAESTRA MIMI' E ONORI SOLENNI IN PRESIDENZA...DIRETTAMENTE DAL GRANDE CAPO.

"Nella colta ricca raffinata e cortigiana Ferrara degli Estensi in guerra con il Papato, «nel cuore di quel campo di perpetua guerra europea» che — all'inizio del Cinquecento — era la pianura Padana, «parte in causa in tutte le contese tra Francia e Spagna per la supremazia sul continente», nasce e affonda le sue radici la poesia dell'Orlando Furioso.

Benché nato come «gionta», ovvero come continuazione dell'Orlando Innamorato del Boiardo, il poema ariostesco si distacca strutturalmente e ideologicamente dall'umanesimo cortese e cavalleresco del suo predecessore. Nel Furioso la materia cavalleresca è «apparente» e «di superficie». Di fatto, essa diviene strumento letterario e metafora, per veicolare la cinquecentesca visione del mondo: quella cosiddetta «cultura della contraddizione», riscontrabile anche in Machiavelli, in Erasmo da Rotterdam e in François Rabelais.

Siamo negli anni dell'aspra crisi della libertà italiana, della crisi dei valori etici umanistici e anche cristiani: anni in cui gli equilibri appaiono così pericolosamente minacciati e imprevedibilmente mutevoli, che si profilano i limiti di ogni visione unitaria assoluta dell'uomo e della realtà.

L'Ariosto muta spesso corda, e varia continuamente e inaspettatamente suono, tono e registro. Con straordinaria sapienza tecnica e stilistica, tesse «varie fila a varie tele». Secondo una sottile serie di rispondenze, sospensioni e riprese, intreccia tra loro molteplici episodi. In modo mirabilmente vario e variopinto, ingarbuglia, districa e riingarbuglia i percorsi e i destini dei personaggi. E così viene a riprodurre e a rispecchiare, nell'ordito del suo poema, la nuova coscienza cinquecentesca: il senso laico «libero, estroso, incalcolabile e inesauribile della vita».

Anche le magie e gli incantesimi, le ricerche e gli inseguimenti dell'inafferrabile e irraggiungibile Angelica in fuga, e soprattutto il palazzo di Atlante, incantato regno del desiderio e dell'inganno, sono metafore di un'esistenza umana turbata e ingannata da inconsistenti e vani miraggi: quindi non più regolata e governata da fissi e prestabiliti provvidenziali disegni, ma organizzata e dominata dall'imponderabile, imprevedibile e irrazionale caso. E solamente nel perfetto «rovescio» del paesaggio terrestre, proprio là sulla luna, nella «mirabile valle delle cose perdute», dove è raccolto tutto ciò che l'uomo continuamente smarrisce sulla terra, Astolfo potrà ritrovare il senno di Orlando «che per amor venne in furore e matto»".

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